Sciopero della fame a staffetta contro il genocidio

Oggi, Lunedì 2 giugno, prosegue per la 19a giornata l’azione nonviolenta di sciopero della fame per 24 ore a staffetta. L’azione continuerà nei prossimi giorni con la partecipazione di altri gruppi, fino al cessate il fuoco definitivo. Gli iscritti sono tantissimi e, secondo le disponibilità espresse, costruiremo il calendario con l’elenco dei partecipanti di tantissime città italiane e europee.
È un digiuno del cibo e non della sete. Si può liberamente bere.

Se volete partecipare nei prossimi giorni, scrivete un messaggio di posta elettronica con nome, cognome, città di residenza, professione (facoltativa), data prescelta (anche più di una, volendo) e un pensiero che pubblicheremo con l’elenco generale di tutti gli aderenti. Le adesioni vanno inviate esclusivamente a:[email protected]

Manderemo un email di avviso, il giorno prima, a tutti i digiunatori del turno.

In molte realtà sono stati organizzati dei presidi nelle piazze e di fronte ai palazzi del potere oppure creato momenti di condivisione collettiva del digiuno. Sono iniziative pregevoli che raccomandiamo, chiedendo agli organizzatori di comunicarci in anticipo gli eventi programmati e mandarci eventualmente foto da pubblicare.

Gaza

Un medico australiano volontario all’ospedale Nassr ha dichiarato che diverse delle vittime colpite dalle forze israeliane domenica mattina in un centro di distribuzione di aiuti a Rafah, a sud della Striscia di Gaza, sono state colpite alla testa e al petto.
“Siamo qui solo da pochi giorni e la portata del trauma che ho visto qui non ha eguali in assoluto”, ha affermato il medico volontario del pronto soccorso del Nasser Medical Complex di Khan Yunis. Ha aggiunto: “Oggi abbiamo gravi perdite umane, centinaia di feriti accertati”.
Lo specialista in medicina d’urgenza, ha spiegato che il complesso medico è “pieno” e che i paramedici devono far fronte alla carenza di attrezzature mediche di base.
Ha continuato: “Siamo qui da giorni, ma i medici qui si trovano ad affrontare la stessa situazione da 20 mesi e sono esausti”.
Ha confermato che tutte le vittime erano “civili a cui era stato chiesto di andare a raccogliere cibo, ma che sono rimasti feriti da proiettili e schegge. La maggior parte di loro è in condizioni critiche”, aggiungendo che diverse vittime “sono arrivate morte a seguito di colpi d’arma da fuoco alla testa e al petto”.
La trappola mortale tesa dalla società di mercenari statunitense GHF ha già causato l’uccisione di oltre 40 palestinesi.

Il rapporto del ministero della sanità su questa strage di domenica mattina parla di 31 uccisi, 5 casi di morte clinica e 30 casi feriti gravemente. 179 i feriti.

Situazione umanitaria a Gaza

L’unico centro per le dialisi nel nord di Gaza è stato minato e raso al suolo dall’esercito israeliano. Il Centro Nour Kaaby era stato già devastato in passato dai soldati, ma sono rimasti in funzione 8 apparecchiature per la dialisi. “Con lo scempio criminale di oggi centinaia di malati di reni sono stati condannati alla morte”, ha dichiarato l’infermiere che ha assistito inorridito all’opera sadica dei genieri militari israeliani.

Il Ministero della Salute palestinese ha dichiarato che l’occupazione israeliana sta utilizzando il nuovo meccanismo israelo-statunitense, istituito per la distribuzione degli aiuti nella Striscia di Gaza, come una trappola mortale di massa nella Striscia e uno strumento per la deportazione forzato dei residenti.

Il direttore generale del Ministero della Salute, il dottor Munir al-Barash, in una conferenza stampa, ha espresso la sua condanna per il silenzio internazionale sui massacri commessi contro la popolazione affamata della Striscia di Gaza: “gli ospedali stanno affrontando condizioni disastrose, a causa di una grave carenza di medicinali e forniture mediche. L’occupazione impedisce ancora a circa 3.000 camion carichi di forniture mediche e umanitarie provenienti dalla città egiziana di Arish di entrare nella Striscia di Gaza”.
Al-Barash ha accusato l’occupazione di “diffondere deliberatamente malattie infettive ed epidemie continuando a impedire il flusso di medicinali e vaccini, sottolineando la diffusione di numerose malattie trasmissibili, diarrea sanguinolenta acuta e meningite, oltre a privare la popolazione dell’acqua, poiché il 90% della popolazione soffre di insicurezza idrica”.

Cisgiordania e Gerusalemme est

Le forze di occupazione israeliane hanno dichiarato il villaggio di Khallet al-Dabaa, nella zona di Masafer Yatta, a sud di Hebron, zona militare chiusa.
L’attivista Osama Makhamreh ha dichiarato che “i militari hanno preso d’assalto il villaggio, costringendo con la forza i residenti e numerosi attivisti stranieri ad abbandonare la zona e chiedendo un elenco dei nomi degli abitanti del villaggio”.
Ha commentato: “la decisione dell’esercito rientra nel contesto di una politica di confisca e di controllo delle terre dei cittadini palestinesi, sottoposti a persecuzione, oppressione e uccisioni, al fine di attuare ulteriori piani coloniali sostenuti dal governo occupante. Nell’ambito della politica di controllo delle terre di Masafer Yatta in preparazione della loro confisca, le forze di occupazione stanno fotografando le case e contando i residenti.
Stanno anche impedendo agli attivisti stranieri di raggiungere queste zone per supportare i residenti e documentare queste violazioni”.

Trattative

Egitto e Qatar hanno emesso un comunicato congiunto nel quale sottolineano la necessità di mettere fine alla guerra e di ammettere l’ingresso degli aiuti umanitari alla popolazione affamata.
“Lavoriamo per un’intesa che preveda 60 giorni di tregua, il rilascio di 10 ostaggi e l’avvio di trattative per la fine della guerra, chiave indispensabile di una stabilità di tutta la regione”, cita il comunicato dei due governi arabi mediatori tra Netanyahu e Hamas.
Secondo fonti egiziane, le trattative con la partecipazione degli Usa sono proseguite anche dopo il no di Hamas all’imposizione di un accordo limitato al rilascio degli ostaggi senza impegni per la fine dell’aggressione israeliana e il conseguente ritiro dell’esercito.

Solidarietà istituzionale

Una quarta regione italiana riconosce la Palestina, la Toscana.
Dopo Puglia, Emilia Romagna e Umbria. “Porterò in Consiglio regionale una deliberazione formale di sollecitazione al governo italiano affinché riconosca lo Stato di Palestina come libero, sovrano e autonomo. Il riconoscimento formale dello Stato di Palestina, anche agli effetti del diritto internazionale, può infatti svolgere una funzione di deterrenza maggiore nei confronti delle continue e ingiustificate incursioni e bombardamenti da parte delle forze del governo israeliano nel territorio della Striscia di Gaza”.
Lo ha detto il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani.
E poi ha aggiunto: “Chiederò, inoltre, che il governo italiano riconosca nei comportamenti di Netanyahu e del suo governo una continua violazione dei diritti umani, diritti inviolabili e appartenenti ad ogni individuo, così come affermato dalle Nazione Unite nella Dichiarazione Universale.
E che affermi l’intollerabilità dell’azione del governo israeliano, il quale sta perpetrando crimini di guerra ai danni del popolo palestinese, in particolare bambini, donne e anziani.
Da domani, lunedì 2 giugno, la bandiera dello Stato di Palestina sarà esposta davanti a Palazzo Strozzi Sacrati, sede della giunta regionale”.

La Festa della Repubblica

Il presidente Mattarella, dopo tanto silenzio sulla Palestina, ha pronunciato un discorso agli ambasciatori accreditati in occasione della Festa della Repubblica.

“S’impone subito il cessate il fuoco a Gaza. È disumano che venga ridotta alla fame un’intera popolazione, dai bambini agli anziani: l’esercito israeliano renda accessibili i territori della Striscia all’azione degli organismi internazionali per la ripresa di piena assistenza umanitaria alle persone”.
E poi aggiunge, ripercorrendo specularmente la dichiarazione Balfour britannica del 1917: “I palestinesi hanno diritto al loro focolare entro confini certi”, spiega il capo dello Stato, che parla di confini certi, un passo indietro rispetto alle risoluzioni dell’Onu che parlano chiaramente del ritiro israeliano dai territori palestinesi occupati, cioè ai confini precedenti al 5 giugno 1967.
È un piccolo passo in avanti rispetto alla posizione ambigua assunta dal governo Meloni, che si nasconde dietro la formula fumosa dei due Stati, senza però riconoscere lo Stato di Palestina mentre fornisce armi ad Israele per distruggere Gaza e uccidere la sua gente.

Mobilitazione in Italia contro il genocidio

Ieri si sono accese di luce tutte le piazze d’Italia. La notte della democrazia è stata un’iniziativa svolta nel quadro della campagna #UltimogiornodiGaza

Un presidio permanente di AssoPacePalestina a Roma davanti a Montecitorio per chiedere il non rinnovo del memorandum di cooperazione militare tra Italia e Israele.

La comunità palestinese di Padova ha organizzato nel fine settimana un presidio di piazza permanente con sciopero della fame.

Le comunità palestinesi in molte altre città italiane hanno organizzato giornata nazionale di sciopero della fame in piazza per 3 giorni dal 31 maggio fino ad oggi 2 giugno.

Manifestazione nazionale per Gaza il 7 giugno a Roma indetta da PD, Movimento 5stelle e Alleanza Verdi-Sinistra.

Alla manifestazione nazionale del 21 giugno contro il riarmo, la situazione di Gaza e la questione palestinese saranno al centro della mobilitazione.

In tutte le città italiane si allarga la protesta nonviolenta, con lo sciopero della fame, contro il genocidio.

Revocare il memorandum militare Italia-Israele

PeaceLink invita cittadine e cittadini a firmare e diffondere la richiesta di revoca dell’accordo militare con Israele, chiedendo ai parlamentari di agire prima della scadenza dell’8 giugno. Un gesto concreto per non essere complici di genocidio e crimini contro l’umanità.
PeaceLink lancia un appello urgente: “è il momento di alzare la voce e chiedere con forza al Parlamento italiano di revocare questo accordo”.

Global March to Gaza

L’iniziativa che prospetta una marcia pacifica e nonviolenta al valico sta coinvolgendo associazioni, sindacati e singoli da 32 paesi.
È un’iniziativa coordinata con un canale Telegram e con comitati nazionali e locali.
È aperta alla partecipazione di tutti, che devono provvedere singolarmente a ottenere il visto di ingresso per l’Egitto dalle autorità consolari, al rilascio dei propri biglietti aerei per raggiungere il Cairo entro il 13 giugno (andata e ritorno).
La marcia prosegue fino al 20 giugno.