Le cause dei bassi salari sono molteplici, a partire da quelle strutturali legate alla tipologia contrattuale, al tempo di lavoro, all’inquadramento professionale, alla dimensione d’impresa, al livello di istruzione e di competenze e, infine, al territorio. Tuttavia, oltre a queste, tra le cause dei bassi salari si può annoverare anche la bassa retribuzione oraria (a livello europeo si identifica con una retribuzione oraria uguale o inferiore ai due terzi della mediana nazionale) che rappresenta uno dei fattori fondamentali nella formazione del salario annuale di un lavoratore. Infatti, il salario annuale di un dipendente è il risultato della combinazione di almeno tre componenti: la retribuzione oraria, l’intensità occupazionale mensile e la durata contrattuale nell’arco dell’anno. L’Ufficio Economia della CGIL Nazionale aveva già indagato tra le cause dei bassi salari medi in Italia il ricorso al part-time, la precarietà contrattuale e la discontinuità lavorativa. Ora con un nuovo recente studio di Nicolò Giangrande, Economista e Responsabile Ufficio Economia CGIL Nazionale, si cerca  di analizzare la questione salariale italiana nel 2023 (ultimo anno per il quale sono disponibili dati consolidati e comparabili a livello nazionale ed europeo), verificando l’incidenza delle basse retribuzioni orarie e valutando il ruolo del salario minimo orario.

Nel 2023 il salario lordo annuale medio nel settore privato, esclusi il settore agricolo e domestico, si e attestato a 23.662 euro. Si e trattato di un aumento salariale nominale medio del +3,5% rispetto al 2022, nettamente inferiore rispetto all’inflazione registrata nel 2023 (+5,9%). Osservando il salario medio disaggregato per tipologia contrattuale (tempo indeterminato, a termine) e tempo di lavoro (full-time, part-time) emergono profonde differenze. I dati dimostrano come nel settore privato i lavoratori a termine e quelli a part-time abbiano guadagnato nel 2023 salari lordi annuali medi rispettivamente di 10,3 mila e 11,8 mila euro, nettamente inferiori alla media generale (23,7 mila euro). Si segnala, inoltre, che i lavoratori che cumulano le due condizioni (a termine e part-time) subiscono una doppia penalizzazione che ne abbassa ulteriormente il salario lordo annuale medio (7,1 mila euro). Quindi, il part-time e i contratti a termine, unitamente alla forte discontinuità lavorativa, determinano un complessivo abbassamento del salario lordo annuale medio. Esaminando poi la distribuzione per classi di importo della retribuzione annuale si nota come nel 2023 circa 10,9 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato (62,7%) ricada nelle classi inferiori a 25 mila euro lordi annuali (la miglior approssimazione al salario medio di 23,7 mila euro), di cui oltre 6,2 milioni (35,7%) sotto i 15 mila euro lordi annuali. Nel 2023 l’Italia ha registrato un tasso di part-time involontario del 54,8%, il più alto dell’Eurozona ed il secondo dell’Unione europea (EUROSTAT, 2025b), e una forte discontinuità lavorativa come si evince dai dati delle Comunicazioni Obbligatorie: l’83,5% di tutti i rapporti di lavoro cessati hanno avuto una durata inferiore all’anno, di cui il 51,0% fino a 90 giorni (Ministero del Lavoro, 2024). Nel 2023 gli occupati a tempo determinato nell’intera economia hanno registrato un aumento di oltre un milione di unita rispetto al 2004 (primo anno della serie storica, v. ISTAT 2025a).

Vanno poi aggiunti i pesanti ritardi nei rinnovi contrattuali, in particolare con alcune controparti datoriali e anche l’alta incidenza delle qualifiche più basse nel mercato del lavoro italiano. Infatti, i dati EUROSTAT mostrano come nel 2023 nell’ambito dell’occupazione dipendente, l’Italia abbia registrato una percentuale di dirigenti e delle professioni intellettuali e scientifiche pari al 15,8%, una quota marcatamente più bassa rispetto alla media dell’UE (26,6%). Inoltre, in Italia si osserva una quota delle professioni non qualificate del 12,4% (pari ad oltre 2,2 milioni di lavoratori dipendenti), nettamente più alta di quella registrata a livello europeo (9,3%). Questa diversa distribuzione dell’occupazione dipendente nel mercato del lavoro italiano rappresenta una parziale spiegazione del differenziale salariale con altri Paesi europei comparabili al nostro, ma soprattutto si tratta di un meccanismo che dura da molto tempo e che è sempre più penalizzante, sia per i lavoratori che per l’economia italiana. Infatti, questa maggior incidenza delle professioni più basse e lo specchio di ùn sistema produttivo fondato sulla micro e piccola impresa e su un modello di sviluppo basato sui settori a basso valore aggiunto in cui le imprese tendono a competere prevalentemente sui costi, in particolare contenendo gli inquadramenti e quindi anche i salari, anziché puntare sulla qualità della produzione.

La ricerca avanza la proposta di intervenire su tutti gli elementi che concorrono all’abbassamento dei salari annuali e sottolinea in particolare “l’importanza di una risposta rapida sul salario minimo orario che sulla base, ad esempio, della proposta presentata in Parlamento comporterebbe un immediato miglioramento della condizione economica di oltre due milioni di lavoratori dipendenti. Con l’entrata in vigore di un provvedimento con queste caratteristiche, questi lavoratori e lavoratrici dipendenti avrebbero un  immediato aumento salariale (parametrato in base alla propria condizione di partenza) che contribuirebbe, da un lato, ad un salario dignitoso e a un progressivo superamento dei bassi salari e del rischio di povertà lavorativa e, dall’altro, disincentiverebbe le imprese a continuare a competere tramite i bassi salari”.

Qui per approfondire e scaricare la ricerca: https://www.cgil.it/ci-occupiamo-di/economia-e-sviluppo/la-questione-salariale-e-le-basse-retribuzioni-in-italia-o6bwe7km